La rigenerazione urbana come strumento di inserimento lavorativo

INTERVISTA A ROBERTO COVOLO, ESPERTO IN ECONOMIA URBANA E POLITICHE PUBBLICHE DEL COMUNE DI BARI

Qual è la relazione tra rigenerazione urbana e inserimento professionale?

La rigenerazione urbana consiste nella riqualificazione multifunzionale di un luogo o per generare migliori condizioni di vita, relazioni, servizi per i cittadini. Il lavoro e la creazione di valore permettono a uno spazio rigenerato di essere abitato e sostenibile nel tempo.

Rigenerare immobili abbandonati significa creare spazi a sostegno sia di microimprese culturali e sociali, sia di imprese sociali per l’erogazione di servizi o beni, attraverso l’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati. Ne abbiamo fatto esperienza con la riqualificazione di una fabbrica abbandonata in provincia di Brindisi, adibita a un servizio di ristorazione sociale

In che modo la rigenerazione urbana aiuta lo sviluppo dei territori?

In Italia esiste un enorme patrimonio pubblico e privato dismesso, derivante dal cambio dei cicli di produzione (vecchie fabbriche, vecchie caserme…). Questi asset patrimoniali possono essere dismessi, svenduti e patrimonializzati o valorizzati per generare nuovi servizi.

Nel corso di vari progetti, abbiamo provato a riutilizzare spazi abbandonati come vecchie fabbriche o scuole, e a renderli luoghi a servizio dei cittadini che ospitassero nuove imprese, per erogare nuovi servizi o rivitalizzare porzioni di città o periferie.

Alla luce del progetto ExFadda, le politiche pubbliche influenzano gli inserimenti professionali? Cosa lega i progetti sperimentali e le politiche per lo sviluppo locale?

Bisogna facilitare gli investimenti rivolti all’economia sociale, cioè a quell’economia di mercato che ha come obiettivo la massimizzazione dell’impatto sociale sui territori. Per il pubblico, sostenere l’economia sociale vuol dire favorire investimenti verso imprese che abbiano l’obiettivo di produrre valore attraverso la vendita di beni e di servizi desiderabili dal punto di vista di mercato, ma anche dal punto di vista dell’impatto sociale.

Vuol dire affiancare i servizi sociali, che vengono in molti casi appaltati dallo Stato o dagli enti locali al terzo settore, a una economia in cui si ibridano le forme del profit e del non-profit. Così le persone che hanno maggiori difficoltà di ingresso nel mercato del lavoro possono essere impiegate.

Nel pratico, bisogna quindi facilitare gli investimenti e le assunzioni e detassare alcuni ambiti di intervento. In questo modo, i progetti sperimentali possono
essere dei laboratori di ricerca e sviluppo per le politiche pubbliche.

 

Questo articolo è estratto dal sesto numero del Magazine Mestieri Più. Clicca qui per scaricare gratuitamente la tua copia completa.